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Ci vuole un cuore per costruire un sogno... Ma ne occorrono due affinché si realizzi! Questa frase estrapolata dal testo di una vecchia canzone, mai così tanto amata, di Marvin Gaye forse rappresenta meglio di tutte lo stato in cui mi trovo a convivere in questo periodo.

Da una parte ci sono io che ho messo il mio cuore per preparare bene una maratona dall’altra c’è la maratona che sembra che si comporti nei miei confronti in modo distratto, quasi distaccato. A volte mi illudo che ami farsi corteggiare ripagandomi con momenti di tenera dolcezza altre invece si dimostra più fredda quasi imperturbabile alle mie lusinghe. Il suo cuore in questo agosto non sembra ben disposto ad accettare il mio e realizzare il sogno che sto costruendo diventa ogni giorno più difficile. La settimana passata si era chiusa con un cauto ottimismo. Le gambe dopo un lungo periodo di sofferenza pareva stessero dando segnali di ripresa evidente. Mancava solo la continuità della crescita a sancire questa fase di sviluppo. E fino a mercoledì avevo avuto come il sentore che la direzione fosse quella giusta. La mia nave salpata da un porto silenzioso dopo un lungo periodo di navigazione tra le nebbie fitte aveva intrapreso la rotta giusta verso la sua naturale destinazione. Due sedute rigeneranti di fondo precedevano il lavoro specifico infrasettimanale che in realtà altri non era che la ripetizione di un lavoro già svolto due settimane prima però prolungato di una ulteriore serie. Ripetute sui 1000 metri alternate da altri 1000 metri di recupero attivo da ripetere per sette volte. Avevo fatto una considerazione finale al termine di quel lavoro che avevo condotto ad un ritmo di 4’00 a km e di 4’15 nel recupero: “Oggi va bene così, di più non ho da dare adesso ma devo provare la prossima volta a buttare giù i tempi di qualche secondo!”. E detto fatto!! Siamo scesi a 3’56/3’57 nel veloce e a 4’10 nel recupero. Il cuore della maratona pareva non solo essersi aperto ma addirittura dilatato a tal punto da accogliermi completamente in se. Ma come detto all’inizio i cuori degli amanti a volte paiono avere passi differenti e il fresco respiro profumato di mele che aveva inondato l’aria i giorni precedenti sembrava essere svanito in quella nebbia. Così che mi sono ritrovato smarrito nel mal bianco tra gli oceani alla ricerca di un punto di approdo. Non mi aspettavo certo che i due giorni immediatamente successivi potessi provare sensazioni di freschezza ma contavo quantomeno di correre la prova della Caparedda – Monte Ortobene del sabato sera in modo dignitoso….

Il sabato pomeriggio mi sento tutto sommato bene. Smaltite oramai le tossine di tutte le ore trascorse a guardare i mondiali posso adesso concentrarmi sul lavoro che mi aspetta. Non ho ancora la più pallida idea di cosa voglia fare in questa gara però ho il buon umore dalla mia. Sarà che ho vinto 1 euro al gratta vinci. Sento che la leggerezza che accompagna queste ore potrebbe essere positiva per la prestazione. Non che abbia mai avuto ansia da prestazione però avere un cuore e una testa leggera facilita le cose. E poi c’è sempre quella spada di Damocle che pende sulla mia testa che si chiama procura federale e che potrebbe determinare uno stop che mi renderebbe impossibile prender parte a qualche gara dei mesi successivi. Alle 16 siamo già in cima con l’amico Riccardo che candidamente in quei 7 chilometri che dividono Nuoro dal Redentore mi confessa di non essere al meglio e che quindi probabilmente si accoderà a me durante i 10 chilometri di questa impegnativa prova. Lo avviso di non attendersi grandi cose dal sottoscritto o dal sopraletto. A Nuoro città l’aria è calda, i gradi sono sopra i 30 qualcosina in più rispetto alle giornate precedenti, mentre al Monte in cima si respira bene grazie ai suoi 900 metri e alla fitta vegetazione boschiva. Purtroppo la partenza è giù in una zona chiamata Caparedda che altro non è che una lunga fossa che si apre a valle declinando verso Oliena e il massiccio maestoso del Corrasi. La strada da percorrere è la vecchia provinciale Nuoro – Orosei che i nuoresi conoscono molto bene per averla percorsa a lungo fino a più della metà degli anni 90 per andare al mare nelle coste baroniesi. Oggi è poco trafficata ed è soprattutto luogo di transito per chi ha in quel lungo declivio i terreni delle proprie campagne. Superati i convenevoli di rito, salutato simpaticamente il fiduciario GGG Bepi Spanedda, distribuiti i 34 pettorali ai soci presenti a questa gara, ascoltate le scuse tipiche del podista che o non sta bene oppure ha corso il giorno prima 200 chilometri, due autobus di linea ci conducono alla Solitudine dove si erge la piccola chiesetta nella quale si trovano le spoglie di Grazia Deledda. La zona di partenza è però a 3 km esatti da lì e sono da correre in parte a piedi grazie ad una scorciatoia. Un po’ di riscaldamento nonostante i 40 gradi percepiti non guasta. I due chilometri li percorro con Sandro Sale atleta di Bono che per gran parte degli anni che vanno dal 2000 al 2010 era senza ombra di dubbio l’uomo da battere in Sardegna. Poi il matrimonio, un affievolimento motivazionale e acciacchi fisici di ogni genere lo hanno allontanato dall’ambiente. Oggi prova a riprendere senza attendersi niente di più di una gara giudiziosa e accorta. Chiuderà decimo di 115 al via. Un ottima prova frutto di un umiltà mai venuta meno.

Per chi conosce questa gara i primi due chilometri del percorso sono ciò che determinerà l’esito finale. Partenze a razzo qui dove il caldo è davvero sciogli gamba sono mal consigliate. E’ meglio essere prudenti e controllare le eventuali schegge impazzite che potrebbero modificare le tattiche pianificate per poi andare in spinta sui tornanti del monte sperando di avere birra a sufficienza per il gran finale. Io sono a centro gruppo e il mio iniziale ottimismo ha perso gran parte del vigore del primo pomeriggio. Non è solo una questione di gambe non reattive, i ritmi sono davvero bassi, è proprio una condizione mentale che mi porta a correre al minimo sindacale. Non ho nemmeno un sussulto d’orgoglio. Qualcosa che mi invogli a dare quel qualcosa in più. Vado per inerzia con l’unico intento di chiudere la prova e cambiarmi. Raggiunta la statua della madonnina ci si immette nell’unico tratto pianeggiante della gara di circa 600 metri dove ad accoglierci ci sono tanti nuoresi spettatori involontari. La cosa fa comunque piacere. Alla solitudine dopo 3 km passo in 15’37’’ con Riccardo che pare abbia la testa per altro. Due anni prima passai qui in controllo in 14’15’’. La seconda parte è anche peggio e pur corsa in progressione e senza affanni eccessivi è solo la pallida copia di come la corsi nel 2011. 34’20’’ contro 30’53’’, praticamente un abisso. Eppure questa strada la conosco a memoria, non esiste metro che non abbia calpestato decine e decine di volte. Ma quando il motore non ne vuole sapere di andare avanti non c’è niente da fare. Insomma dopo la crescita degli allenamenti precedenti ecco un improvviso stop inatteso che ovviamente pianta nel mio giardino il seme del dubbio. Il cuore della maratona si era chiuso a riccio lasciando dentro di me l’inquietudine amara di un rifiuto indesiderato. Premiazioni veloci, visi sorridenti, interviste post gara abbastanza ripetitive ma il podista è così prendere o lasciare, finale con cena tradizionale, abbondante e ben gradita da parte di chi è rimasto al fresco del parco. La 16° edizione della Caparedda – Monte Ortobene ha chiuso il suo bilancio in positivo sotto tutti gli aspetti. Pur essendo una prova impegnativa è a parere mio tra le gare più belle che si corrono in Sardegna. Se dovessi dare un consiglio eliminerei la parte di Caparedda e farei partire il tutto al centro di Nuoro, ai giardini del Corso. Ma è solo un consiglio spassionato.

Ci vuole un cuore per fare un sogno…ma ne occorrono due affinché si realizzi! Così ho iniziato e così devo finire il mio resoconto settimanale. Mercoledì credevo di aver trovato l’alchimia giusta nel mio viaggio verso Francoforte, sabato mi è sembrato di aver sbattuto così forte contro un muro da farmi dubitare sull’esito di questo viaggio. Ma la voglio prendere solo come una giornata storta, non voglio costruirci niente di più anche se far finta di niente è esercizio difficile. I giorni seguenti comunque non potranno essere non indicativi delle aspettative future…

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