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Legale / Fiscale
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Poter scrivere delle proprie passioni ed emozioni, comunicando facilmente con tante persone, è sicuramente interessante e in questo nuovo millennio abbiamo a disposizione parecchi strumenti per farlo, la "rete", ad esempio, ci permette di spaziare parecchio e di interagire a nostro piacimento, io lo sto facendo proprio ora, scrivendo. 
Così come la luna ha il suo lato oscuro, anche la parola scritta, veicolo illuminante di cultura che diviene civiltà, ha un suo profilo che può divenire cupo e che non dobbiamo mai dimenticare, ossia la sua capacità di tagliare a fette la sfera personale degli individui. Il nostro ordinamento giuridico, nel tutelare i diritti soggettivi, dedica particolare attenzione a quelli posti a tutela della personalità; vi dicono niente il diritto all'integrità fisica, al nome, all'immagine, all'onore e alla riservatezza (c.d. privacy)? Con riguardo particolare alla tutela del diritto all'onore e quindi della reputazione, il codice penale, prevede due figure di reato ben conosciute: l'ingiuria e la diffamazione. Non tutti sanno qual è il carattere distintivo tra esse, così è bene ricordare che mentre l'ingiuria ricorre allorquando Tizio offende l'onore o il decoro di Caio in sua presenza, o mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, a lui diretti (art. 594 c.p.), la diffamazione si concretizza tutte le volte in cui, fuori dei casi considerati dall'art. 594 c.p. , Tizio comunicando con più persone offende la reputazione di Caio (art. 595 c.p.). 
 
L'elemento materiale del reato di diffamazione, implica dunque tre requisiti:
a) l'assenza dell'offeso;
b) l'offesa dell'altrui reputazione; in proposito la Cassazione ha precisato che il criterio cui fare riferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunziata ed il significato che le parole hanno nel linguaggio comune, prescindendo dalle intenzioni inespresse dell'offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frase può aver provocato nell'offeso (Cass. , 21 febbraio 2007, n. 7157);
c) la comunicazione a più persone, ossia la divulgazione con qualsiasi mezzo (a voce, per iscritto, ecc.) ad almeno due persone del fatto offensivo; non è richiesta, invece, la contemporaneità della comunicazione, potendo essa avvenire in tempi diversi ed anche ad intervalli più o meno lunghi.
 
Al navigante ricordo che il reato di diffamazione è perseguibile solo su querela di parte, vale a dire solo su iniziativa del soggetto offeso, mentre la competenza a decidere è del giudice di pace (in caso di aggravanti si arriva davanti al tribunale monocratico); la pena prevista per la diffamazione semplice può consistere nella reclusione fino ad un anno o nella multa fino a 1032 €. Ora se la diffamazione richiede fra i suoi elementi la comunicazione a più persone, diventa inevitabile fare i conti con la crescita rapida della comunicazione a livello informatico, che ha spinto il legislatore ad emanare la legge n. 547/1993, la quale ha introdotto nuove fattispecie di reato, volte proprio a contrastare i c.d. reati informatici , vale a dire i fatti lesivi della libertà informatica degli utenti. Si è voluto così distinguere, il mezzo di comunicazione «internet» dai mass media «tradizionali», come stampa e radiotelevisione, riguardo ai quali è ormai consolidato un orientamento interpretativo particolarmente severo, che fa coincidere la consumazione del reato con la mera pubblicazione o trasmissione dei contenuti diffamatori anche in assenza di un'effettiva percezione dell'offesa. Fatte queste premesse e senza indugiare in tecnicismi giuridici, proverò a mettere in luce i limiti entro i quali sia possibile criticare, senza diffamare, comunicando sul web! Il problema può essere risolto solo cercando il livello massimo di critica lecitamente raggiungibile, e in proposito la Suprema Corte (Cass., sez. III, 8 novembre 2007, n. 23314) afferma che: "Il diritto di critica si concretizza nell'espressione di un giudizio o, più genericamente, di un'opinione che sarebbe contraddittorio pretendere rigorosamente obiettiva, posto che per sua natura la critica non può che essere fondata su un'interpretazione necessariamente soggettiva di fatti e comportamenti."
 
Posso dire allora che il mio diritto di critica non ha il vincolo dell'obiettività! Sempre la Suprema Corte (Cass. 22 gennaio 1996, n. 465; Cass. 25 luglio 2000, n. 9746) ritiene: "..necessario bilanciare l'interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, bilanciamento da ravvisarsi nell'interesse dell'opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critiche, bensì di quella determinata interpretazione del fatto." E' quindi importante che si possa conoscere il mio parere o meglio l'interpretazione che do di un certo fatto! Infine ancora la Suprema Corte (Cass. 7 novembre 2000, n. 14485) afferma che: "Nell'esercizio del diritto di critica si possono adoperare espressioni di qualsiasi tipo che si risolvano in lesione dell'altrui reputazione, purché siano funzionali alla manifestazione di dissenso ragionato dall'opinione o dal comportamento altrui; non sono, invece, ammessi apprezzamenti negativi che degradino in gratuita aggressione distruttiva della reputazione, discreditando la vita altrui in qualcuna delle sue manifestazioni essenziali." Posso usare, dunque, anche espressioni eventualmente lesive purché non siano gratuite e immotivate e dipendano dall'opinione o dal comportamento della persona che critico! Individuate le direzioni tracciate dalla Corte, è possibile ora tirare le fila della nostra piccola ricerca, la domanda iniziale era: fino a che punto è possibile criticare un individuo senza incorrere nel reato di diffamazione?  
 
Premesso che quando incorriamo in un reato possiamo essere giustificati, se esercitiamo un diritto o adempiamo ad un dovere (art. 51 c.p.), ecco la risposta:
1) nel caso ci accusino di aver scritto frasi diffamatorie, il diritto al quale possiamo appellarci è quello di critica, attraverso il quale esprimiamo appieno la libertà del nostro pensiero (art. 21 Cost.);
2) l'esercizio del diritto di critica è per sua natura soggettivo e quindi non è vincolato da parametri d'obiettività;
3) i nostri rilievi critici possono anche essere forti nei toni e nei contenuti, purché siano ragionevolmente motivati e relativi alla condotta altrui, essi sono ammessi a tutela dell'interesse dell'opinione pubblica a conoscere il nostro parere su un certo fatto, in quanto ciò contribuisce alla crescita degli individui sia come singoli sia come collettività.
Buone feste e buon libero pensiero.